L’esperienza vissuta al convegno nazionale di formazione del Centro PsicoPedagogico, intitolato “La scuola non è una gara”, svoltosi a Piacenza il 20 aprile, mi ha dato tanti spunti su cui riflettere.
La scuola, ancora oggi, nonostante la sua voglia di cambiare e di svecchiarsi, si mostra fortemente dominata dalla dimensione del controllo e del giudizio. Le valutazioni sono basate sui voti numerici e spesso demoralizzano l’alunno. Il giudizio freddo e scarno che gli insegnati danno all’alunno fa sembrare la scuola una sorta di gara a chi arriva primo, secondo e terzo.
In merito a ciò molto interessante è stato l’intervento del prof. Raffaele Mantegazza dove rifletteva proprio sul fatto che la scuola non può essere ridotta ad una gara: non bisogna mettere un traguardo dove tutti devono arrivare e se qualcuno non ci riesce, allora è insufficiente. La valutazione, il traguardo dove arrivare, deve essere personale, ogni alunno dovrebbe avere un percorso individuale. Ogni bambino ha un suo punto di partenza, una sua evoluzione e, quindi, un suo arrivo.
Però bisogna anche soffermarsi su un altro concetto basilare: una sana competizione, un sano mettersi al confronto, è positivo tra i bambini. Per poter spronare i bambini a fare di più, abbiamo bisogno di un modello a cui guardare, un modello da imitare e con cui confrontarsi. Questo è un discorso che va affrontato nella squadra classe, non quando si vanno a fare le valutazioni, perché il di più di quel bambino deve essere visto da sprono per l’alunno che ha meno capacità.
L’accenno fatto ai Greci, che hanno inventato il Pentatlon, cioè il gioco dei cinque, è stato molto esplicativo. I Greci sottolineavano la nullità di essere bravissimi a fare qualcosa, se poi non si è capaci di fare altro. E’ meglio essere mediamente bravi in tutti e cinque i giochi che eccellere solo in uno e non saper fare gli altri quattro.
Da questo punto di vista l’educazione può essere paragonata allo sport, dove il tutto gruppo lavora insieme, stimolandosi a vicenda, per raggiungere un obiettivo unico.
C’è da chiedersi, però, perché nello sport funziona il fare squadra e nella scuola no? Perché il compagno viene visto come il nemico? Forse manca l’aspetto piacevole. La scuola che etichetta gli alunni, toglie a questi la voglia di divertirsi ed imparare, incutendo ansia e paura.
In una scuola dove si vuole di nuovo riformare le valutazioni degli alunni e tornare all’ottimo ed insufficiente, sarebbe necessario, prima, cambiare la formazione degli educatori, insieme a quella dei genitori. E’ arrivato il momento di darci una svolta, di abbandonare approcci che demotivano e di abbracciare invece la pedagogia che valorizza gli alunni ed il personale scolastico.
La valutazione, soprattutto alla primaria, deve essere descrittiva: la maestra deve analizzare il punto di partenza di ogni alunno, del suo percorso formativo e, alla fine, trarre i risultati che non sono quelli attesi per arrivare ad un determinato traguardo, ma sono risultati personali, derivati dal proprio percorso. L’arido voto, purtroppo, non può racchiudere tutte queste sfaccettature.
Dott.ssa Ada Mastrolorito